«Tira più un laccio di scarpa che un carro di buoi». Deve essere stato questo il concept creativo che ha dato il via al nuovo capitolo della collaborazione tra Diletta Leotta e U-Power.
Difficile, altrimenti, trovare una spiegazione allo storytelling che sta alla base della nuova campagna promozionale del brand. Un video spot condiviso su tutti i canali social e in alta rotazione in tv: un caloroso invito multimediale a non aver paura di lasciarsi stupire.
Lasciarsi stupire da cosa? Sorge spontanea la domanda. La risposta è quasi più intricata dei nodi che si formano ai lacci delle scarpe, quando le si deve indossare di fretta.
U-Power: dall’antinfortunistica al lifestyle
Fondata nel 2006 da Franco Uzzeni, U-Power nasce con la missione di diventare il punto di riferimento per tutti coloro che vogliono assicurarsi la massima protezione durante le ore di lavoro in condizioni di potenziale pericolo. L’azienda promette di garantire la dovuta dignità alla questione della sicurezza sul lavoro e propone un approccio più nobile e avanzato al mondo del personal protection equipment.
Agli accessori antinfortunistici si aggiungono presto, all’interno del portfolio del brand, prodotti dedicati al lifestyle e alla moda di tutti i giorni. Nonostante la scritta “unisex” compaia timidamente nel menu dell’e-commerce, il target a cui l’azienda vuole puntare è più che evidente: il maschio, bianco, etero, cis.
La storia pubblicitaria di U-Power lo conferma: un susseguirsi di commercial, nemmeno troppo ironici, in cui aitanti uomini-operai fanno sfoggio della loro virilità a colpi di scarpe rinforzate e guanti anti-taglio. Dei Ken di provincia che, in assenza di addominali e tavola da surf, cercano morbosamente l’attenzione della loro Barbie tra un giro di avvitatore e una scintilla di saldatrice.
Nessun premio alla creatività o all’impegno sociale ma, fino ad ora, solo tiepide critiche per un approccio un filo conservatore al rapporto uomo-donna. Fino ad ora, ripeto.
Diletta Leotta indossa U-Power: il nuovo promo sui social e in TV
La biondissima Leotta canta e accenna qualche passo di danza sul palco, con il microfono in mano, coperta da una canotta nera, degli stivali al ginocchio e una minigonna in jeans che lascia poco spazio all’immaginazione. La maliziosa inquadratura dal basso riflette il punto di vista del bambino che, a occhi sbarrati e bocca aperta, assiste alla performance davanti alla televisione. Dall’interno coscia della nuova promessa del canto italiano, la telecamera si sposta sul volto del bimbo, il ritmo del Can-can di sottofondo incalza e una voce familiare guida lo spettatore: «Lasciati stupire ancora una volta!». A seguire, una rapida successione di uomini in evidente stato di estasi per aver infilato i loro piedi nella nuova calzatura del brand. A chiudere, il ritorno di Leotta che, abbandonate le vesti della pop star e indossato un blazer gessato, ci ricorda che «Più comode di U-Power, c’è solo U-Power!».
Tralasciamo il claim finale e abbandoniamolo nel suo vortice di banalità e scorrettezza grammaticale. Cerchiamo invece di rintracciare un filo narrativo che ci conduca dalle ovaie dell’influencer alla suola delle scarpe. Anzi, mi correggo. Cercatelo voi, perché io mi sono già perso. E pare non sia il solo.
Il disappunto della Rete
La notorietà contenuta del brand e il pairing ormai rodato con l’influencer hanno fatto sì che, almeno in un primo momento, questa attivazione pubblicitaria attirasse l’attenzione dei soli addetti ai lavori. È stata poi Lucarelli a portare l’attenzione sulla bizzarra narrazione scelta da U-Power per il lancio della nuova scarpa Red Ego.
A scuotere gli animi degli utenti della Rete sono principalmente due fattori: la prospettiva maschilista della narrazione e l’impiego di un minore come protagonista.
Il male gaze nello spot di U-Power
Leotta esiste perché un maschio la guarda. Se il suo corpo non fosse sottoposto allo sguardo curioso dell’uomo, all’interno dello spot, non avrebbe senso di comparire. Si tratta di un’applicazione a regola d’arte del principio del male gaze, la pratica di raffigurare l’universo femminile da una prospettiva maschile, eterosessuale, che conduce a una rappresentazione delle donne come banali oggetti sessuali volti a soddisfare lo spettatore maschio. Dalle gambe al seno, ogni inquadratura sembra studiata per soddisfare le pulsioni dell’osservatore.
La tenera età del protagonista
Una cosa lo spot sembra insegnarcela: non si è mai troppo piccoli per apprendere le basi della molestia. In fondo, bisogna imparare in fretta a lasciarsi stupire. Ce lo ricorda lo slogan. Poco importa se la meraviglia sia nascosta sotto la minigonna di una ragazza e se, per apprezzarla, sia necessario infilare lo sguardo tra le sue gambe, trattenendo a stento la bava alla bocca. Quel primo piano sul volto del bambino in contemplazione della televisione è una rappresentazione così grottesca del maschilismo da suscitare una buona dose di imbarazzo a chi, con un minimo di coscienza sociale, si imbatte per caso nello spot.
Il gender marketing di U-Power
Nessuna svista, nessun equivoco, nessuna caduta di stile. Minimizzare la questione che affligge la campagna di U-Power a una semplice goliardata o a un’incomprensione del pubblico è profondamente sbagliato, forse pericoloso.
La pratica alla base dell’approccio pubblicitario dell’azienda ha un nome preciso: gender marketing. Con il termine gender marketing si è soliti descrivere una strategia aziendale che mira a commercializzare un prodotto sulla base delle differenze che intercorrono tra uomini e donne, sulla base della loro identità di genere. A parità di brevetto, applicando i principi del gender marketing, il brand sviluppa e presenta al mercato un prodotto per lui, con specifiche caratteristiche e precisi attributi di significato, e un prodotto per lei, anch’esso dotato di un proprio gender meaning.
Per comprendere appieno la pratica del gender marketing, è utile analizzarla sulla base delle quattro variabili tradizionali del marketing, così da evidenziare come le aziende si relazionano al concetto di genere rispetto alle diverse leve del marketing mix.
Product: alla base del gender marketing
Il primo fronte su cui le aziende tendono a concentrarsi in termini di gender marketing è il prodotto, con le sue caratteristiche tangibili e intangibili e tutti gli attributi valoriali che porta con sé. Tutto inizia nella fase di ideazione, quando le imprese stabiliscono come strutturare una determinata linea di prodotti affinché possa incontrare le esigenze dei consumatori e determinano il diverso livello di complessità tecnica e capacità funzionale che i prodotti per uomini e donne devono avere. La qualità dei materiali, le loro caratteristiche e il loro design sono altri elementi attraverso i quali le aziende cercano di diversificare la propria offerta in base al genere. Anche i colori sono un fattore differenziante. Queste scelte commerciali si riflettono anche sulle confezioni, primo punto di contatto fisico tra il consumatore e il prodotto e, spesso, elemento decisivo nella scelta d’acquisto.
Price: scontrini da uomo e da donna
Altra leva con cui agisce il gender marketing è il prezzo. Non ci si riferisce solamente al prezzo di listino con cui prodotti e servizi per uomini e donne vengono immessi nel mercato, ma anche alle scontistiche, ai ribassi, alle condizioni di pagamento e di credito.
Place: ad ogni genere il suo luogo
I punti vendita sono un altro componente strategico per il raggiungimento di uno specifico segmento di clientela. La scelta della tipologia di store, la sua collocazione, il design degli interni, l’allestimento delle vetrine e la disposizione dei prodotti sono fattori in grado di influenzare in positivo o in negativo il consumatore nella decisione d’acquisto. Sapere come catturare l’attenzione di uomini e donne e come guidarli fino alla conversione finale fa parte del know-how che le aziende devono avere per poter fronteggiare un mercato complesso come quello attuale.
Promotion: narrazioni di gender marketing
La promotion, ovvero l’insieme di attività pubblicitarie, promozioni, forza vendita, relazioni pubbliche e direct marketing, è l’ambito in cui sono maggiormente rintracciabili le impronte lasciate dagli stereotipi di genere nelle strategie aziendali. Questa leva del marketing mix ha l’importante compito di creare un immaginario di marca, di trasmettere i valori dell’azienda e di far immergere il consumatore in una narrazione crossmediale in cui si possa sentire rappresentato. È uno spazio tanto creativo quanto potenzialmente pericoloso, dato il suo forte impatto sulla costruzione di un orizzonte di senso comune che va oltre il ristretto ambito commerciale e sfocia in una dimensione sociale e culturale più ampia. Rivolgersi in modi differenti ai due generi risulta, in questo ambito, una prassi consolidata e ormai naturale per le aziende di tutti i settori.
Ci sono prodotti per cui un approccio differenziato al genere maschile e femminile è necessario per una corretta presentazione e commercializzazione al mercato. Altri, invece, non presentano alcuna caratteristica peculiare che li associ agli uomini o alle donne, eppure diventano appannaggio esclusivo di una delle due categorie.
Le scarpe antinfortunistiche, così come le sneakers, sono calzature unisex per definizione. Possono cambiare le misure e i dettagli cromatici, ma la struttura del prodotto rimane invariata. U-Power, però, decide di non sposare questa verità e di costruire un mondo di marca fatto di puro testosterone.
Non potendo intervenire in maniera decisiva sul prodotto in sé, sul suo costo e sui canali distributivi, decide di concentrare tutti i suoi sforzi in termini di gender marketing sulla comunicazione. Post dopo post, campagna dopo campagna, crea un immaginario comune per cui la calzatura U-Power diventa sinonimo di un successo e di un potere maschili legittimati dal consenso delle frivole figure femminili che popolano questo mondo, che odora di dopobarba e di scarpe lasciate umide nella borsa del calcetto.
Il confine sottile tra gender marketing e sessismo
Soprattutto nell’ambito della promotion, le strategie aggressive di gender marketing sono armi potenti, da saper maneggiare con estrema cura. La linea di confine tra il capolavoro percettivo e il più becero sessismo è davvero molto sottile. Questa labile frontiera, inoltre, tende a spostarsi in base alle oscillazioni della sensibilità dell’opinione pubblica rispetto alla tematica del genere nei diversi momenti storici.
Senza paura alcuna di peccare di moralismo, possiamo affermare che la storiella del bambino che si lascia stupire dall’interno coscia di Diletta Leotta va ben oltre i confini del gender marketing e scade in un sessismo da dilettanti che, nel 2025, ci meriteremmo di non trovare più durante le pause pubblicitarie dei programmi di prima serata sulle reti nazionali.
«Questa campagna è geniale! Il target dell’azienda non si pone alcuna questione morale». Certo, anche i pesci non si pongono il problema di come sia la vita all’aria aperta. Ma semplicemente perché non sono mai usciti dall’acqua del mare. Lasciare che i consumatori meno sensibili al tema sguazzino in un oceano di stereotipi di genere e misere sessualizzazioni della figura femminile è una scelta coraggiosa. Un atteggiamento rischioso per un brand che vuole investire sulla propria reputazione e ottenere una solidità commerciale difendibile nel lungo periodo.
Aziende che, solite gonfiare il fatturato a punture di testosterone, sono finite per implodere ne abbiamo già viste molte.
Riferimenti
Kotler P., Keller K., Ancarani F., Costabile M., Marketing per manager, Milano, Pearson, 2018.
Patella A., «Storia di U-Power, l’azienda delle scarpe indossate da John Travolta a Sanremo», wired.it (01/04/2025)
U-Power, «La nostra mission», u-power.com (01/04/2025).
Immagine di copertina: u-power.com