Sopravvissuti ai bracciali componibili in metallo e agli occhiali da ciclista al posto dei Ray-Ban, pensavamo di poter tirare un sospiro di sollievo. E invece no. A colpire chi ancora credeva nella gioielleria d’autore e nell’occhiale old money sono arrivati i Labubu.
Ma relegare questi pupazzetti brutti a una semplice questione di stile vorrebbe dire banalizzare quello che, a tutti gli effetti, sembra essere il fenomeno di costume dell’anno. Un prodotto che diventa trend e si posiziona tra il mercato del giocattolo e quello della moda, inserendosi nelle pratiche collettive di consumo condivise da questi mondi: il collezionismo e il reselling.
Cosa sono i Labubu e come sono arrivati fino a noi?
Per ricostruire la genealogia dei Labubu bisogna muoversi verso est, fino alla Cina, e imparare a conoscere Kasing Lung, illustratore di Hong Kong e padre della serie animata The Monsters. Queste creature pelose, con le orecchie da coniglio, i denti aguzzi e lo sguardo spiritato nascono, infatti, come personaggi divertenti e grotteschi di una serie animata per il pubblico asiatico.
A rendere i Labubu tridimensionali è, invece, Wang Ning, founder e CEO di Pop Mart, colosso cinese nella produzione di giocattoli da raccolta. È sua l’idea di trasformare i personaggi del cartone animato in miniature da collezione e di lanciarli sul mercato all’interno delle celebri blind box, scatole chiuse che impediscono di vedere quale dei tanti mostriciattoli si sta acquistando.
Il resto è storia. I pupazzi con il sorriso dentato attirano l’attenzione del pubblico internazionale e dei media, che iniziano a interrogarsi sul segreto del loro successo. Le stelle dello spettacolo, come Rihanna e Lisa delle BLACKPINK, iniziano a condividerli sui loro profili social e si innesca il Labubu effect. Le scorte finiscono presto sold-out, le code all’esterno dei negozi diventano chilometriche e gli esemplari più rari vengono battuti all’asta per migliaia di euro.
Ogni Labubu diventa un simbolo di appartenenza, un totem culturale in grado di accendere il desiderio di un pubblico estremamente trasversale per genere ed età.
Dimmi che Labubu hai e ti dirò chi sei

È inutile cercare di sminuire il fenomeno Labubu e considerare i piccoli conigli demoniaci come semplici giocattoli o come accessori di stile per chi ha perso la retta via del buon gusto. La verità è che, attraverso i Labubu, passa il desiderio di rappresentazione del sé che tanto è caro alle generazioni più giovani e che, emancipandosi dalla dimensione digitale dei social network, si incarna nelle pratiche collettive di acquisto e nella tendenza al consumo identitario.
Il Labubu è sinonimo di self-expression, simbolo al tempo stesso di appartenenza e di unicità, di identità collettiva e di affermazione individuale. Le diverse versioni in cui è disponibile e l’infinità di possibili contesti di utilizzo lo rendono il simbolo di una coolness che non è più conseguenza dell’omologazione ma della capacità di rendere personale qualcosa che, potenzialmente, potrebbero avere tutti.
Dallo zaino per la scuola alla Kelly di Hermès, dal portachiavi del lucchetto della bicicletta a quello del garage del SUV di lusso: il Labubu è sempre lo stesso ma il significato sociale non è mai uguale.
Delirio collettivo? No. Mostruosa strategia.
La gente è strana, è vero, ma che l’intera popolazione mondiale impazzisca improvvisamente senza un reale motivo è poco plausibile. Infatti, anche dietro l’incontrollabile successo dei Labubu si erge una strategia a prova di marketer. Una ricetta bilanciata che coniuga alla perfezione tutti gli ingredienti che contraddistinguono i più grandi successi commerciali degli ultimi anni.
L’effetto sorpresa: compri la blind box, non il Labubu
Il primo fattore che rende l’acquisto di un Labubu un’esperienza coinvolgente è l’incognita legata al dover comprare il pupazzetto “al buio”. Niente scaffali o espositori ordinati, solo scatole di cartone che rendono impossibile vedere quale Labubu si stia effettivamente portando a casa.

Un elemento, questo, che accomuna la vendita dei Labubu a quella delle carte da collezione. Un legame forte con le logiche di distribuzione del mondo del giocattolo da cartoleria che riporta inevitabilmente il consumatore al ricordo d’infanzia dell’apertura della bustina di figurine appena fuori dall’edicola.
La blind box è poi uno straordinario elemento per aumentare il tasso di acquisto del singolo cliente. Pur di completare la collezione o di trovare il proprio Labubu preferito, i più affezionati ai mostricciattoli sono disposti a ripetere la coda, fisica o digitale, per tentare nuovamente la fortuna. Una dinamica di acquisto che innesca una roulette emotiva non troppo distante da quella provocata dai gratta e vinci e dalle slot machine.
La scarsità programmata: i Labubu sono sempre sold-out
Se i magazzini di Pop Mart siano in realtà colmi di merce non ci è dato saperlo, ma i Labubu sono sempre esauriti. L’esperienza di acquisto non è affatto semplice: richiede tempo, pazienza e dedizione. L’effetto scarsità, principio cardine del neuromarketing, dona ai Labubu esclusività e li eleva a oggetti del desiderio per molti inarrivabili.
È così che un pupazzetto del valore commerciale di circa 20 euro si addentra nelle dinamiche del mondo del lusso. L’uscita di un Labubu in tiratura limitata è paragonabile a un drop di una collezione di streetwear e non mancano fenomeni di reselling a prezzo maggiorato.
Il Labubu incarna un nuovo concetto di lusso democratico che non si rivolge più a chi ha i soldi per permetterselo ma a chi non ha nulla da fare. O meglio, a chi è disposto a liberare le proprie giornate per investire del tempo in coda davanti a un negozio. Per appartenere a questa nuova classe di “gente di lusso” non servono i soldi ma il tempo e, soprattutto, la volontà di adoperarsi per farne parte.
L’effetto nostalgia: i Labubu ci ricordano il passato
A impazzire per i Labubu non sono i bambini piccoli, come ci si aspetterebbe da un pupazzetto buffo. Il pubblico raggiunto da Pop Mart parte dai post-adolescenti e include giovani adulti e oltre.
Questo dato è indicativo di uno dei motivi del successo di questo accessori-giocattolo: ci ricordano un passato felice. I Labubu, con le loro fattezze e le loro modalità di acquisto, evocano in noi i sentimenti dell’infanzia e rappresentano un’occasione di evasione dal proprio presente emotivo.
Appenderli a zaini, portachiavi e borse è dare voce ai bambini che eravamo e che, forse, vorremmo ancora essere. È riconoscere come cool un oggetto potenzialmente infantile, che però assume un significato condiviso positivo e socialmente accettato.
L’estetica cute-creepy: i Labubu sono brutti o kawaii?
Il Labubu non è elegante, non è minimal e nemmeno buffo nel senso classico. Il suo design è ambiguo, enigmatico, disturbante. Coniuga in modo nuovo l’estetica orientale del kawaii con degli elementi propri della cultura più dark, come le orecchie appuntite e i denti aguzzi. È una scelta stilistica che divide e che, proprio per questo, crea implicitamente un senso di tribù tra chi li apprezza.
Senza scomodare Rosenkranz e la sua Estetica del brutto, possiamo limitarci a ricordare che ciò che non rispecchia il canone tradizionale del bello e del buono attira e incuriosisce l’essere umano da sempre. Molto più di ciò che è esteticamente perfetto.
La Barbie sta alla Venere di Botticelli come il Labubu sta alla Gioconda. E, non me ne voglia la giovin signora che esce dalla conchiglia, ma a vincere la sfida è sempre la donna spelacchiata che ci guarda in modo strano.
Labubu: tra gusto kitsch e personalizzazione
È evidente che il Labubu, una volta acquistato, perda quasi completamente il suo legame con la categoria merceologica del giocattolo ed entri a pieno titolo nell’ecosistema della moda. Il pupazzetto è un vero e proprio accessorio che riesce a inserirsi all’interno di un trend che nell’ultimo anno ha interessato il mondo dell’abbigliamento di lusso, le borse soprattutto: la personalizzazione.

I consumatori non accettano più di sottostare ai dettami stilistici dei designer, vogliono rendere i propri look unici, aggiungendo dettagli personali anche a capi e accessori costati migliaia di euro. È il caso delle borse firmate che vengono impreziosite con ciondoli e gadget di ogni tipo: da pezzi di micro-design a foulard, da fibbie e catenelle a vecchi telefoni.
Quello della personalizzazione è un tema ricorrente che, negli anni, ha investito diversi settori. La regola sembra essere piuttosto chiara: quando i consumatori familiarizzano con un design, questo perde il suo carattere di novità e il rispetto reverenziale che ne deriva. È in quel momento che le persone liberano la creatività e l’istinto kitsch per rendere l’oggetto unico e riconoscibile. È successo ai primi telefoni cellulari con i ciondoli di Winnie the Pooh, ai più moderni smartphone con la cover mania, alle scocche dei computer portatili con il culto dello stickering e, ora, è il turno delle borse.
Tutti a scuola dai Labubu!
I Labubu sembrano incarnare perfettamente alcuni dei nuovi punti fermi del mondo della moda e del marketing. Agli stilisti insegnano a non essere troppo orgogliosi delle proprie creazioni, perché chi acquista le vuole rielaborare, modificare e rendere proprie. Per i marketer la lezione ha qualche capitolo in più.
Creare un’esperienza attorno al prodotto
Non è necessario che questo sia di lusso, costruire un rituale collettivo attorno al suo acquisto e al suo utilizzo coinvolge i consumatori.
Aprirsi a estetiche nuove
Il minimalismo occidentale che ha contraddistinto il design dello scorso decennio è nettamente superato. È il tempo di contaminare influenze culturali e visive diverse per creare qualcosa di nuovo e inedito.
Chi trova una community trova un tesoro
Riuscire a individuare una nicchia di mercato e coinvolgerla attivamente nella narrazione del prodotto può risultare molto più efficace di spendere grandi budget in pubblicità. La promozione dei Labubu si basa interamente sui contenuti prodotti dagli utenti: i vlog dell’attesa in coda al negozio, i video unboxing, i reveal delle collezioni personali.
Non si può piacere a tutti
Io rimango fedele ai bracciali in oro, ai Ray-Ban e alle Kelly immacolate. Là fuori, però, c’è qualcuno in fila davanti al negozio di giocattoli in attesa della sua blind box. E a Pop Mart va benissimo così. Duole ammetterlo, ma a loro di quelli come me non importa proprio nulla.
Riferimenti
Redazione Fabric, «The Labubu Effect: Why We’re All Obsessed (and What Marketers Can Learn)», fabric-academy.com (08/07/2025)
Tiziana Molinu, «Labubu-mania: come dei pupazzetti “brutti” sono diventati oggetti del desiderio», iconmagazine.it (08/07/2025)
Redazione SEO Cube Agency, «Labubu Mania: il pupazzetto peloso che fa impazzire il marketing», seocubeagency.it (08/07/2025)
Immagine di copertina: popmart.com
Immagine collezione completa Labubu: popmart.com
Immagine confezione Labubu: popmart.com
Immagine borsa con charms: miumiu.com